Mi ha sempre sorpreso la risposta di molti amici musulmani alla domanda su quale sia stato il segno del loro passaggio all’età adulta, non tanto anagrafica o sociale ma spirituale: “La prima volta che ho pianto nella preghiera”. Me lo sono sentito dire tante volte, da donne, ma ancor più da uomini. Questo aumenta il mio stupore, poiché un’idea stereotipata della virilità spinge al controllo e alla repressione di tutte le manifestazioni di debolezza, delle quali il pianto è considerata quella tipica. Alcuni mi dicono che le lacrime sono sgorgate la prima volta nelle preghiere speciali delle sere di Ramadan (tarawih تراويح), altri in una preghiera solitaria notturna (قيام الليل). Una signora mi dice di averla sperimentata nella prima notte di nozze. Dopo il Zifaf (زفاف), la festosa cerimonia nuziale, lei e il marito hanno pregato due rakaa di ringraziamento, prima di coricarsi, ed è stato in quel preciso momento che si sono sciolti in un gran pianto.

Sin dalle pagine del Corano (es. sura al-Isra’ 17,109) l’esperienza spirituale è intimamente legata alle lacrime, secondo una linea già ben attestata nelle tradizioni religiose che precedono l’islam. L’islam l’ha sviluppata notevolmente, al punto che troviamo, nelle prime generazioni di pii musulmani, quasi una categoria specializzata: i bakka’ùn (بكاؤون) letteralmente “piagnoni”. Potevano piangere sino a perdere i sensi. Ho tradotto tanti loro testi ne “La ricerca del Dio interiore”. Quanto al motivo del pianto, è una cosa complessa: indubbiamente, a mio avviso, c’è un motivo di paura, anzi di terrore di Dio. Non dobbiamo dimenticare che la parola taqwa (تقوى) oggi comunemente tradotta con pietà, devozione, viene da una radice che indica un atto di difesa, mettersi al sicuro da, preservarsi da un pericolo. Difendersi da Dio. Sarebbe però superficiale fermarsi lì. Il pianto nella preghiera ha anche tutta la dimensione del desiderio e della nostalgia di Dio, dello stupore per le sue meraviglie, come infinite fonti classiche e moderne dimostrano, anche quelle dell’islam “medio”, senza dovere sconfinare nelle forme più avanzate di sufismo.

Che il pianto sia diventato elemento centrale della pietà islamica, e quindi una lezione salutare alla nostra frigidità spirituale, a una spiritualità tutta di testa, di pensieri senza emozioni, lo dimostra da una parte la sua presenza frequente nella seconda parte della predica del venerdì. Il predicatore la conclude con una catena di invocazioni sempre più incalzanti e coinvolgenti, spesso costruite sui nomi di Dio, che spingono alla commozione intensa lui e chi lo ascolta, e risponde con l’“amìn” . Altra dimostrazione è, a mio avviso, la frequente messa in guardia dall’ostentazione nel pianto. Fare finta di piangere, per farsi vedere dagli altri ed essere lodati per la propria pietà. Nelle fonti classiche ci sono ammonizioni molto severe su ogni forma di ostentazione (riya’ رياء) nella pietà. “Queste opere te le ricompenso, perché le hai fatte per me” dice Dio in una narrazione del Giudizio “di queste invece vatti a fare dare la ricompensa da colui per cui le hai fatte!”. Analogamente, altre narrazioni dicono che l’uomo più pio è quello che piange durante una preghiera solitaria nel deserto (nessun lo vede), o quello che per anni inzuppa di lacrime notturne il suo cuscino, senza che la donna che gli giace al fianco si accorga di nulla.

Ci sono lacrime e lacrime. Su certe non è lecito fare poesia. Le lacrime dei torturati nelle prigioni segrete, delle donne stuprate come forma di tortura, dei poveri privati di pane e lavoro, della terra e se possibile anche dell’aria. Su queste lacrime non c’è mistica che tenga. Ci vogliono i tribunali internazionali, la deposizione e il giudizio dei dittatori, la lotta per strappare le risorse economiche e ambientali dai denti di chi ce le confisca con la violenza, l’inganno e la smania di avere. Ma una volta realizzata la perfetta utopica giustizia, sappiamo anche che non tutte le lacrime saranno asciugate. C’è un confine del pianto che non è raggiungibile da nessun sforzo umano. Su questo confine ci fermiamo tutti, lucidamente sconfitti, oggettivamente disperati. A meno che… Per ipotesi, solo un’ipotesi totalmente indimostrabile… Una tradizione biblica, che passa da Isaia (25,8) e arriva all’Apocalisse (21,4), dice che la prima cosa che Dio farà in Paradiso (se mai esistono, l’uno e l’altro) sarà quella di asciugare personalmente ogni lacrima da ogni occhio. Se mai esiste un Dio, questo è il vero “occhio per occhio”.

Ignazio De Francesco