Quando i focolai di guerra si propagano, quando la violenza generata dalla guerra esprime tutta la sua virulenza, si fa più urgente e necessario il richiamo ad una riflessione sulla pace e sulla nonviolenza. Una riflessione che abbia radici profonde e tenaci, che sia capace di rifiorire perennemente, che sappia coniugare idealità e pragmatismo e condurre gli occhi verso spiragli di luce durante le fasi più buie.
A dare un contributo in questa direzione è l’agile saggio La nonviolenza di Gesù. Operare la pace secondo i vangeli frutto di un lavoro seminariale di Pax Christi International, tradotto in italiano e curato da Fabrizio Mandreoli e Michele Zanardi per le edizioni Zikkaron (Bologna 2023). Il testo, rileggendo i testi evangelici e ripercorrendo la prassi e l’insegnamento di Gesù, tratteggia Gesù come un operatore di pace e delinea il suo agire come un agire nonviolento attraverso sette tappe.
Evidenziamo qui solo alcune parole o parti del discorso presenti nel saggio che ci sembra possano andare a comporre un piccolo lessico utile per la riflessione sulla pace e sulla nonviolenza. Sono parole ricorrenti nel testo e pilastri su cui si appoggia l’agire di Gesù.
Le sette tappe dell’«approccio totalmente nonviolento» di Gesù sono individuate da altrettanti verbi, dietro ai quali se ne possono trovare diversi altri che tracciano in ampiezza e profondità l’azione nonviolenta di Gesù. Si tratta di: prevenire la violenza, intervenire per interromperne la spirale, prendere posizione contro il male e resistervi, sfidare «le costrizioni ideologiche» e rivelare quelle situazioni di ingiustizia e disparità che all’interno della società generano rabbia, talvolta perturbare, disturbare, sommuovere, scuotere lo stato di pace al fine di portare allo scoperto «i problemi che affliggono» le persone, di riconciliare vittima e colpevole, di difendere l’innocente, di costruire una comunità di nonviolenza e di servizio inclusiva, di affrontare «la violenza con il potere disarmato della verità e dell’amore», in modo dignitoso e franco, conservando la propria umanità e rifiutando la vendetta e l’odio. Questi verbi connotano in modo preciso l’agire nonviolento di Gesù e ne rendono chiara tutta la dimensione pratica: la nonviolenza è permeata di azioni concrete, è sostanza e operatività.
Come va agita la nonviolenza? Con creatività. Come aggettivo (creativo/a) o come sostantivo (creatività) la parola ricorre diverse volte nel saggio. Gesù educa, infatti, a intervenire in modo «effettivo, creativo e non violento per arrestare l’escalation della violenza» una volta che è esplosa, mutandone l’inerzia (p. 42); egli mostra come resistere «al male e all’oppressione con sicurezza e creatività – senza diventare oppressori a propria volta» (p. 56). Nel discorso della montagna Gesù «chiama i suoi discepoli a vivere, come lui […] lo stile dell’amore nonviolento e creativo» che «è possibile grazie all’amore donato dal Padre» (p. 59). E ancora, egli insegna ai discepoli che «alla violenza e all’aggressività si risponde facendole incrociare con la creatività della nonviolenza» (p. 67). L’azione nonviolenta è di per sé «creativa e disarmante» (p. 85) perché si pone al di fuori della logica della violenza: non minaccia, non grida vendetta, non usa «una forza superiore per soverchiare» una violenza subita.
Su cosa si innestano le azioni nonviolente di Gesù? Sul riconoscimento dell’altro come prossimo ovvero come colui di cui avere compassione. Compassione (dal latino cum patior; in ebraico rahamin) è sentire, soffrire insieme a qualcuno; è la partecipazione alla sofferenza dell’altro, è una comunione intima e profonda col dolore dell’altro. Si previene l’esplosione della violenza abbracciando l’altro come un fratello o una sorella e avendo compassione di lui. Il testo richiama la parabola del buon samaritano (Lc 10), il quale, passando sulla strada e vedendo un uomo malmenato e abbandonato, «ne ebbe compassione…». Al dottore della legge Gesù chiede: «Chi […] ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». E il dottore dalla legge risponde: «Chi ha avuto compassione di lui» (pp. 52-53). Citando sempre il vangelo di Luca, al capitolo 13, Gesù «interrompe la liturgia del sabato, perché vede una donna che da diciotto anni era ricurva. Sente compassione per lei» e la guarisce (p. 63). Con gesti come questo, Gesù scuote la società e sfida le costrizioni ideologiche perché «credeva che la santità non consistesse nel “preservare la purezza”, ma nel mostrare compassione» (p. 64). Nell’ultima cena e nella notte in cui fu tradito, Gesù raduna i suoi e prescrive loro «l’assoluta necessità di costruire una comunità di compassione e servizio nonviolento» (p. 78). Spezzando il pane e bevendo il vino è come se avesse detto loro: «Ogni volta che vi riunite e condividete il mio corpo e il mio sangue, ricordate la mia vita e il modo in cui ho agito. Agite come mi avete visto agire – resistete alle strutture di violenza, mostrate alle persone come opporre all’odio l’amore, respingete le armi con sdegno, mostrate compassione per le persone povere ed emarginate, abbiate la volontà di sopportare il dolore e la sofferenza in nome mio. Fate affidamento l’uno sull’altro» (p. 79).
Un’altra parola ricorrente nel testo di Pax Christi International è perdono. Perdonare non significa ignorare il male, «il male non va ignorato né trascurato» (p. 72) e il colpevole deve essere chiamato a rispondere di quanto ha commesso (p. 43). Perdonare è scegliere di compiere gesti radicali che spezzino la spirale d’odio. Per perdonare occorre trovare la forza, non è un atto spontaneo. Come affermato dalla filosofa Hannah Arendt, il perdono è un atto politico scoperto da Gesù, «è l’unica risposta efficace alla violenza, perché pone fine alla catena di ritorsioni reciproche regolate dalla vendetta» (p. 72). Proseguendo con le parole di Arendt, «il perdono è l’esatto opposto della vendetta, […] che è la naturale, automatica reazione alla trasgressione e che per effetto dell’irreversibilità del processo dell’agire può essere prevista e anche calcolata, l’atto del perdonare non può mai essere previsto; è la sola reazione che agisca in maniera inaspettata e che quindi ha in sé, pur essendo una reazione, qualcosa del carattere originale dell’azione» (H. Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 2022, p. 258). Per ricollegarci ad un’altra parola del nostro lessico, possiamo dire che «il perdono è un atto libero e creativo» (p. 73).
Alle parole qui poste in evidenza, se ne possono certamente aggiungere altre che possiamo trarre da altri studi o dall’esperienza vissuta. Costruire un lessico significa fornire uno strumento utile alla riflessione sulla pace e porre in evidenza delle parole per lasciarsi da esse pungolare, per decidere di tradurle in gesti concreti nel nostro agire quotidiano, seguendo la via tracciata da Gesù.